Prima di Melocchi

Quali possono essere state le origini ed il cammino di una delle tecniche più praticate di oggi? Vediamole insieme in una veloce sintesi di fatti e accadimenti storici.
Tra il 1820 e il 1840 il vecchio e il nuovo modo di cantare si scontrano creando  confusione e disorientamento: persiste una certa nostalgia del passato, dei castrati e del canto strumentale agile e veloce, mentre viene dato sempre più spazio ad un’opera ove tutto appare come negazione del “Bel Canto”:
·         L’eredità di Spontini, Cherubini e Gluck,  lascia vocalità irruente, austere e nerborute dovute all’uso de “le grand cry”.
·          In Italia si utilizza una nuova ma non ben delineata tecnica che fa intravedere cambiamenti e novità.
·         Il tenore Domenico Donzelli   si schiera con quello che giudica un rinnovamento; allievo del Crivelli, raccoglie dapprima l’eredità di  David, Nozzari e Manoel Gracia padre, adottando una tecnica influenzata da Manuel Garcia figlio, Maestro di Canto emergente, che consigliava di utilizzare nel canto il colore scuro e brunito, (sombre) in antitesi con quello di tinta chiara oltrechè il famoso colpo di glottide, situandosi a mo’ di spartiacque causando il proprio allontanamento dai modelli vocali abituali. Definito da Maurizio Modugno nel Dizionario Biografico degli Italiani ( Volume 41 – 1992 - cifr. Treccani.it) come l'ideale dell'eroismo tenorile  “…trovando in sé mezzi naturali singolarmente idonei, ...raffigurò un particolare momento storico dell'evoluzione della vocalità tenorile e scrisse il prologo del nuovo stile romantico”.  L’avvento di  un altro tenore, Gilbert Duprez,  che appare agli studiosi come una fusione tra Rubini e Donzelli, è perfetta dimostrazione che il tenore tipo, dallo stile carezzevole, tenero, brillante e agile, utile ad un Rossini prima maniera è sul viale del tramonto, costretto al capolinea dal suo sistema di cantar “Moderno” adottato nel Guglielmo Tell, do di petto compreso.

Genesi storica

Compositori quali Bellini, Donizetti, Pacini, Petrella, Mercadante e Verdi sembrano comporre in contrasto con le cosiddette regole del Bel Canto, usando note ribattute e aspre, acuti intensi, accenti ricchi di frenesia e passione, slancio verso spazi più ampi di un’ottava fino a una dodicesima. E per questo nuovo modo di cantare non esisteva una particolare pedagogia capace di far primeggiare il solista sulle definitive, dilatate sonorità orchestrali.
Donzelli, Moriani ed altri ci riescono.
Alberto Mazzuccato (Udine 1813 – Milano 1877) ci spiega perché. Ricordato dai più per aver prima criticato e poi tradotto il Trattato Completo dell’arte del Canto di Manuel Garcia, musicologo esperto di vocalità ma anche compositore, parla apertis verbis di questo nuovo modo di cantare, nel N°14 della Gazzetta Musicale di Milano, 1842 (cifr. A. Della Corte – Canto e bel Canto – G.B.Paravia- 1933) “…come se si trattasse di due foggie... del tutto disparate e diverse..” contesa pressoché inutile fra i sostenitori dell’uno o dell’altro sistema a cui intenzionalmente toglie ogni demarcazione , promuovendo e auspicando una linea di continuità a favore di uno stile unico. Il Mazzuccato, qui di seguito, ci espone la tecnica di questi cantanti con la precisione ed il rigore dello studioso: “Essi devono esser forniti di ciò che è la vera e sostanziale essenza del bel canto. La loro diversità, che pur si rivelava distinta, vuolsi attribuire a semplici accessori. Fra questi c’è quel carattere sonoro che il Garcia chiama timbro chiuso (timbre sombre, voice sombrée), e che si usa per dar volume alla voce, e si ottiene rialzando il velo pala­tino fino a chiudere affatto l’apertura posteriore delle fosse nasali, ed accanalando la lingua, la quale è tenuta tesa alla sua base dalla laringe, che in questo timbro resta sempre immobile e alquanto più bassa che non nella posizione naturale. La forma che ne ottiene la faringe è cagione di questo maggior volume e rotondezza di suono vocale. Questa modificazione non si ottiene perfetta che sullo vocali e ed o stretto, e sulla vocale u. 

Cantando sulle altre vocali ben chiare, è impossibile conservare la forma suindicata all’organo vocale. Questo timbro, che noi ci siamo provati di spiegare, dà alla voce, come abbiamo accennato, un maggior volume, vale a dire un suono impo­nente, grandioso, pieno, da non spingere mai all’eccesso. Questa grandiosità vocale fu gran­demente accetta ai nostri cantanti, passati, e tutti essi d’accordo, salvo rarissime eccezioni, unicamente adottavano questo timbro, come l’unico adatto alla maestà dell’arte musico-declamatoria….”. Escudier, grande conoscitore di musica verdiana e di Verdi, plaudendo a questo stile afferma nella Gazzetta musicale di Milano, n° 47, che “…artisti di un ordine distinto si sono a larga mano sviluppati sotto l’influenza del suo genio. Ciò che dà speciale carattere alla scuola di canto formatasi dopo la comparsa di Verdi è l’intelligenza, è il sentimento drammatico, elevato alla più alta possanza. Il cantante identificandosi nel perso­naggio, o meglio la voce umana animandosi al soffio della passione, noi vediamo l’ideale della tragedia lirica…”. E sin dai tempi del Nabucodonosor (1842) circolava voce che Verdi rovinasse le voci, accusa periodicamente ribadita per il precoce abbandono delle scene del soprano Giuseppina Strepponi, avvenuto tra il ’44 e il ’46 a 30 anni e perché, si disse, la sua musica non rappresentava i nuovi ideali sonori. Tutto ciò fin quando compare sulla scena il genio di Bayreuth, Richard Wagner, che per anni fu omaggiato beneficiando dello stesso discredito. E Verdi nel ’57 suggeriva irritato a Leone Giraldoni, di cui parleremo diffusamente più avanti : « Fa’ che i cantanti cantino e non gri­dino; declamare non significa urlare». In effetti le difficoltà riscontrata dai cantanti nello stile Verdiano erano una esigua parte, come ribadisce più volte il Della Corte in Canto e Bel Canto (Paravia 1933), tali difficoltà erano dovute alla assenza di quegli studi specifici a cui Giraldoni darà impulso, non solo in Italia ma anche in Russia, con una didattica ragionata che avrebbe dotato i cantanti, dopo un buon addestramento, di quell’esperienza necessaria per affrontare il disagevole Verdi e i primi vagiti del Verismo. L’ultimo grande ostacolo, creduto insormontabile per quei tempi, è di un repertorio che, tra il ’60 e l’80, si va sempre più allargando, non solo aumentando il numero delle recite in cartellone ma rivalorizzando vecchie opere con belle “mise en scene” per tutti i gusti. Ogni teatro è un viavai di direttori d’orchestra, strumentisti e cantanti i quali proveranno a crearsi una sfera d’azione e una specializzazione. Ma siamo già alla fine dell’800, la Belle Epoque si va dissolvendo, mentre sorge il sole del nuovo secolo in cui si affermeranno cantanti come Enrico Caruso, Giacomo Lauri Volpi, Battistini, Titta Ruffo e Maestri come Antonio Cotogni e Arturo Melocchi. E il nuovo diventò moderno.

il M°Arturo Melocchi : giudizi e pregiudizi

Per un lungo periodo della mia vita ho sempre sentito parlare male di Melocchi e della sua scuola di canto; definito da molti livorosi “rovina voci” o peggio, in altri modi,   con parole e aneddoti ove tutto è costruito ad arte, con l’abilità di confondere coloro che come me avevano sempre avuto stima e massima fiducia nel grande metodo. Da qualche anno a questa parte, con il regio avallo di Franco Fussi che l’ha studiato con la serietà e la precisione che gli sono tipiche, c’è stata una inversione di tendenza nei confronti della scuola decretandone limiti, utilità ed importanza. Eppure in epoche non sospette Melocchi e la sua Scuola ebbero un mare di seguaci e pochissimi detrattori. Certamente una tecnica moderna, la sua,  per molti versi all’avanguardia per i tempi in cui era nata , se teniamo presente che Melocchi raccoglie il testimone passatogli dalla grande scuola Milanese, ricca di un humus fertile su cui far germogliare le sue idee tecniche, musicali e laringoiatriche, frutto di uno studio scrupoloso, coscienzioso e severo. 
Analizzando storicamente il periodo della formazione di Melocchi a Milano, centro del cosmo lirico, osserviamo come si presentino a noi due sistemi : uno tecnico e uno fono-laringoiatrico che apparentemente uniti viaggiano paralleli ed equidistanti.  C’è qualche contaminazione ma niente di più. Sicuramente è di Melocchi il merito di aver intrapreso il cammino della chiarezza, della comprensione di un “metodo forte” e più che sperimentato, che vede come protagonista la ragione e il principio del perchè si debbano fare quei vocalizzi e come si debbano eseguire per avere un determinato risultato. Non più un allenamento semicosciente dove si spera che la voce migliori attraverso esercizi vocali di qualsiasi ordine a grado, da eseguirsi per lungo tempo, ma un percorso cristallino ove Maestro e Allievo partecipano attivamente alla soluzione dei problemi che si presentano lezione per lezione. 

 In un viaggio avvenuto nel 2002 sono stato a Pesaro dove ho raccolto varie testimonianze dirette su Melocchi, ho trovato brevi registrazione di alcune lezioni , lettere, fotografie e una certa quantità di documenti che mi sono stati donati da Robleto Merolla, con straordinaria generosità. Qui potrete trovare tutto ciò che ho raccolto ed esiste attualmente su Melocchi, persino un CD in cui vi sono registrate alcune lezioni complete di Limarilli, qualcosa su Corelli e una sorta di biografia del Maestro nella quale si parla della sua giovinezza e dei suoi trascorsi come Accompagnatore al Piano del grande baritono Giuseppe Kaschmann, in giro per tutta l’Europa. Ancora, attraverso alcune lettere a, e di Mario  Del  Monaco,  nei vari periodi della carriera fino ad avvicinarsi ai giorni che precedettero la sua morte, le dichiarazioni di Marcello Del Monaco, ricostruiremo il carattere e la personalità di un uomo tutto d’un pezzo, un solitario appassionato amante della voce e delle sue tecniche. La cosiddetta tecnica dell’affondo nata da una idea di Mario del Monaco (mentre ascoltava Enrico Caruso) e non di Melocchi, oggi è praticata e insegnata da tutti coloro che hanno avuto un parente o un conoscente che l’ha frequentata, che ne ha compreso tutto e più degli altri per folgorazione indiretta; su internet fioriscono e si moltiplicano gli entusiasti che la insegnano meglio di qualsiasi altro, coloro che l’hanno ricevuta in dono da un dio vivente o l’hanno acquisita per familiarità o discendenza, come trasmessa da una malattia ereditaria e che diversamente da essa si propaga e contagia come un virus, facendo innumerevoli vittime. Di chi è la colpa? Sempre di Melocchi e del suo metodo, naturalmente. Mai dei millantatori e dei fanfaroni.
Il CONSERVATORIO di Milano …à l'aube du nouveau siècle...

Il giovane baritono Arturo Melocchi cresce al conservatorio di Milano ove si diploma, conseguendo la Licenza e il Magistero di Canto, il 13 Novembre 1907, a 28 anni. La commissione è presieduta dal M° Giuseppe Gallignani che fu anche il suo Maestro, cui sarebbe stato legato anche da una serie di terribili eventi, risoltisi, per fortuna di Melocchi , diversamente da quelli del Gallignani. Gli esami (il diploma di quell’ordinamento aveva prove identiche a quelle di oggi, tranne la prova del “vocalizzo moderno”) si svolsero di mercoledì, contemplando, per le materie principali, le seguenti prove:
    • due arie d’opera per voce di baritono. Melocchi scelse l’aria“Sei vendicata assai”dalla Dinorah di Meyerbeer, e quella di Boniface, cuisinier du Monastère “S’il faut s’enfler de gloire” da Le Jongleur de Notre Dame di J. Massenet, considerata aria di autore contemporaneo in quanto l’opera era stata data alle scene nel 1902 con il compositore vivente (Massenet muore nel 1912).
    • il sesto vocalizzo di perfezionamento per baritono di Gaetano Nava2, op.24.
    • esecuzione dell’aria “E’ ver ch’io t’ingannai” dal Fra Diavolo di Meyerbeer
    • la lettura a prima vista tratta dal Pier Luigi Farnese di Palumbo
    • domande sulla fisiologia del canto, sull’insegnamento, sui migliori trattatisti antichi e moderni.
Già nelle prove per le materie complementari, il giovane Melocchi aveva dato prova di essere preparato e sapientemente erudito, specie in quelle di Pianoforte e Fisiologia dell’ organo vocale.   I voti finali delle prove si potranno vedere nella documentazione allegata.

Il Maestro di Melocchi

Ci è d’obbligo ricordare come gli anni di studio con Gallignani avessero formato il Maestro e l’uomo, la cui serietà, viene messa in seria discussione quando il Ministero, l’1 maggio 1941, manda un'ispezione  al Rossini  di Pesaro dove Melocchi insegnava canto da parecchi anni, decretandone la sospensione a causa di un ipotetico “scarso rendimento”. Si sapeva bene che tutto questo clamore fosse da ascrivere ai sentimenti antifascisti di Melocchi che come Gallignani è licenziato in tronco  e senza pensione, solo che Melocchi, qualche anno dopo, viene riammesso all’insegnamento. Purtroppo Gallignani non resistette all’onta di essere accusato di brogli e si suicidò. Con l'avvento del fascismo, disgraziatamente, molti furono gli uomini che dovettero piegarsi alla calunnia, alla violenza o al carcere. Gallignani, che del fascismo non voleva saperne, fu colpito nella sua moralità. Il ministro della Pubblica Istruzione, lo accusò d'irregolarità amministrative, destituendolo dall'incarico di Direttore del Conservatorio. Fu tale il dolore che il maestro, in una crisi di disperazione, si scaraventò da una finestra del Conservatorio, trovando la morte (14 dicembre 1923). Stessa sorte accomunò Melocchi al sardo Giulio Fara, docente di storia della musica e bibliotecario al Rossini di Pesaro e condannato subito dopo al confino. L’infame pratica di calunniare è tutt’ora in uso nei conservatori di musica e nell’ambiente musicale, per raggiungere facilmente lo scopo di distruggere gli avversari capaci e competenti se non di eliminarli fisicamente del tutto.
Chiosiamo questo argomento e continuiamo.
Pubblico qui di seguito una serie di documenti che mi ha fornito il collega Robleto Merolla che ho ringraziato e ringrazio ancora con tutto il cuore per la grande cortesia.